Greenpeace, l’Amazzonia divorata dagli allevamenti, causa della deforestazione

Ogni volta che un piatto di carne arriva sulla nostra tavola potremmo distruggere un albero della Foresta Amazzonica, contribuendo alla sua scomparsa: esiste un fil rouge che collega gli allevamenti alla deforestazione e non è più possibile ignorarlo.  In occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, Greenpeace lancia il rapporto ‘Foreste al macello II’, che svela il legame nascosto tra questi due drammatici fenomeni.  Il dossier esamina le attività dell’azienda agricola Paredão, che si è insediata all’interno del parco statale Ricardo Franco, nel Mato Grosso, quando era già stata istituita l’area protetta e che, secondo quanto rilevato da un’indagine dell’organizzazione, sposterebbe i capi allevati fuori dal parco prima di venderli, in modo da nascondere il legame con le aree deforestate illegalmente.

Il parco statale Ricardo Franco, istituito nel 1997, copre un’area di 158 mila ettari (una superficie superiore all’estensione della città di Roma) e si trova al confine tra il Brasile (stato del Mato Grosso) e la Bolivia, dove si incontrano l’Amazzonia, il Cerrado, la savana più ricca di biodiversità del Pianeta e il Pantanal, la più grande zona umida del mondo. Si tratta quindi di un’area che ospita una biodiversità eccezionale che include 472 specie di uccelli e numerosi mammiferi in via di estinzione, come il formichiere gigante.

Nonostante la sua importanza, il parco non è mai stato soggetto a regolamentazione e così in breve tempo il 71% è stato occupato da oltre 137 aziende agricole, che hanno creato pascoli a scapito della foresta. In Italia tra aprile 2018 e giugno 2019, sono arrivate così oltre 2000 tonnellate di carne, destinate a grossisti. Un vero dramma nascosto.

Per garantire che i cittadini europei non siano complici inconsapevoli della distruzione di foreste fondamentali per il Pianeta, come l’Amazzonia, Greenpeace chiede alla Commissione europea di presentare rapidamente una normativa che chiarisca ogni aspetto. Martina Borghi, responsabile Greenpeace Italia ha fatto sapere:

“Sfortunatamente, ciò che accade nel parco Ricardo Franco non è un caso isolato: situazioni simili sono comuni in molte aree dell’Amazzonia brasiliana. Impossibile al momento per chi acquista capi o carne da questa terra garantire una filiera priva di deforestazione e accaparramento delle terre”.

fonte:greenstyle.it

Arcobaleno: perché i colori sono 7?

L’arcobaleno è uno di quei fenomeni naturali che lasciano sempre a bocca aperta. Questo arco di luce colorata, pronto a mostrarsi dopo un improvviso acquazzone, tinge il cielo di moltissime sfumature, regalando uno spettacolo unico nel suo genere. Ma quali sono i colori che caratterizzano l’arcobaleno e, soprattutto, perché sono 7?

Frequente in tutti i periodi dell’anno, ma soprattutto in estate dopo i classici temporali di stagione, l’arcobaleno affascina l’uomo sin da tempi antichissimi. Di seguito la spiegazione del fenomeno e dei suoi straordinari colori.

Arcobaleno: cosa è

Arcobaleno in Montagna

Per arcobaleno si intende un fenomeno ottico dovuto dalla suddivisione della luce bianca attraverso uno spettro. In ambito naturale, tale fenomeno si verifica quando i raggi del Sole colpiscono delle goccioline d’acqua rimaste in sospensione nell’aria o, ancora, nei pressi di sorgenti. Non capita infatti raramente di ammirare arcobaleni nelle vicinanze di piscine naturali e cascate, ma anche più semplicemente generati da fontane e pozzanghere.

La durata dell’arcobaleno è variabile e dipende dal tempo di sospensione delle goccioline nell’aria, dalla posizione del Sole e da altri fenomeni atmosferici. Ovviamente si verifica solo di giorno, quando è possibile approfittare di un intenso irraggiamento solare. Non a caso, l’arcobaleno è sempre visibile in direzione opposta alla nostra stella, mentre l’intensità dipende dalla posizione dell’osservatore.

Fu Isaac Newton a spiegare nel dettaglio le ragioni alla base del fenomeno dell’arcobaleno, analizzando il comportamento della luce tramite l’ausilio di uno spettro di vetro. Lo scienziato era infatti convinto che la luce bianca potesse essere scomposta in vari colori, a seconda della loro lunghezza d’onda.

La luce solare che giunge sulla Terra è infatti il risultato della somma di tutti gli altri colori, i quali hanno una lunghezza d’onda fra di loro differente. Tramite un prisma di vetro è quindi possibile separare queste onde, trasformando i raggi bianchi in molteplici gradazioni. Il ricorso allo spettro permise a Newton di comprendere cosa accade nel mondo naturale: è l’acqua stessa a scomporre la luce solare, agendo in modo del tutto simile proprio a un prisma.

Colori: perché sono sette e gradazioni

Arcobaleno prato

Il fenomeno dell’arcobaleno si presenta sempre con i medesimi colori, la cui alternanza è fissa. La loro direzione, tuttavia, può variare a seconda della posizione dell’osservatore. Lo stesso vale anche per l’intensità di queste gradazioni, che possono cambiare a seconda dell’intensità della luce solare, dal luogo di osservazione e da altri fenomeni atmosferici.

Per comprendere la scomposizione della luce bianca in diversi colori, e il loro numero, occorre sempre rifarsi agli studi di Isaac Newton. Inizialmente lo scienziato individuò cinque gradazioni – rosso, giallo, verde, blu e violetto – per poi aggiungere anche l’arancione e l’indaco, per analogia alle sette note musicali.

L’ordine di questi colori – violetto, indaco, blu, verde, giallo, arancione e rosso – non è casuale. Dipende infatti dalla lunghezza d’onda della luce scomposta attraverso lo spettro: non a caso, si vengono a creare delle gradazioni continue e progressive, ad esempio con la vicinanza di violetto e indaco e quella tra arancione e rosso. Il numero è invece determinato dal fatto si tratti di colori primari e, fatto non da poco, dalle capacità visive dell’uomo. La scomposizione della luce produce infatti anche onde non riconoscibili dall’occhio umano, come lo spettro dell’ultravioletto.

 

fonte : greenstyle.it

Piove plastica sul Grand Canyon

Piove plastica sul Grand Canyon. È quanto confermano le ultime rivelazioni condotte negli Stati Uniti, pronte a sottolineare come milioni di microplastiche siano trasportate dagli agenti atmosferici nelle zone più remote della nazione. Un vero e proprio disastro ecologico, poiché queste particelle non solo contaminano facilmente le sorgenti e la catena alimentare, ma risultano difficili da rimuovere.

Microplastiche, diffuse nell’aria dalla brezza marina
Circa 132 pezzetti di plastica per metro quadrato cadono ogni giorno sui parchi degli Stati Uniti, per un totale di circa 1.000 tonnellate di rifiuti ogni singolo anno. Per confronto, si tratta del quantitativo di plastica che serve per produrre 300 milioni di bottiglie.

Plastica: lo studio
A rivelare questi dati sono gli scienziati della Utah State University, i quali hanno voluto misurare la quantità di microplastica trasportata da piogge e vento sulle aree protette degli USA. Dal Gran Canyon al Joshua Tree National Park la situazione è sempre la stessa: la contaminazione è elevatissima.

Janice Brahney, una delle ricercatrici alla base dello studio, ha notato questo fenomeno qualche tempo fa. Nell’analizzare al microscopio alcuni campioni di terreno, si è accorta di alcune particelle riflettenti e colorate. Dopo le analisi di rito, sono risultate di plastica. Analizzando campioni da 11 siti naturali statunitensi, ha contato in 9 anni ben 15.000 frammenti, alcuni a volte grandi un terzo di un capello umano.

Abbiamo creato qualcosa che non andrà mai via. E ora sta circolando per tutto il globo.

Purtroppo il problema non è limitato agli Stati Uniti. Una ricerca condotta sui Pirenei lo scorso hanno ha rilevato problematiche analoghe, con 365 microplastiche per metro quadrato. Poiché leggere e minuscole, queste vengono sollevate dal vento da mari e oceani e, con le piogge, si depositano praticamente in tutto il mondo. È infatti molto probabile che le plastiche rinvenute sui Pirenei provengano da centinaia di chilometri di distanza.

Fonte: Sustainability Times

CO2: emissioni zero in Italia, possibile secondo Greenpeace

L’obiettivo emissioni zero è possibile, anche in Italia. Questo il messaggio lanciato da Greenpeace mentre si svolgono gli Stati Generali dell’Economia. Abbattere la CO2 emessa dal Bel Paese non è un obiettivo inarrivabile secondo l’associazione, ma un’opportunità che porterebbe vantaggi “economici, occupazionali e ambientali”.

A questo proposito l’associazione ha lanciato “Italia 1.5“, uno scenario nel quale l’abbattimento della CO2 nel Bel Paese guarda alla rivoluzione energetica. Un netto cambio di rotta centrato su rinnovabili e decarbonizzazione. Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia:

In questi giorni il Governo Conte e le istituzioni europee dichiarano a più riprese di voler puntare anche sulla transizione energetica per ripartire dopo lo shock causato dalla pandemia di Covid-19. Il piano “Italia 1.5” di Greenpeace Italia va esattamente in questa direzione. Non è possibile pensare a un futuro migliore se non puntiamo con determinazione e rapidità su rinnovabili ed efficienza energetica.

Clima: emissioni CO2, banche italiane nel mirino di Greenpeace
Due gli scenari tracciati nel documento: uno con emissioni zero entro il 2040, l’altro entro il 2050. Queste due ipotesi sono confrontate con le misure contenute nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), che il Governo Conte ha consegnato all’UE a inizio 2020. Il PNIEC italiano non centrerebbe gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, secondo Greenpeace, e punterebbe ancora troppo sul gas fossile.

Italia 1.5 vuole promuovere un’azione italiana all’insegna del contenimento del riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi Celsius. Ciò porterebbe entro il 2030, sostiene Greenpeace, alla creazione di 163mila posti di lavoro (di cui il 65% nel settore energetico). A finanziare la transizione potrebbero essere i risparmi generati dal mancato acquisto di combustibili fossili dall’estero.

Rinnovabili fotovoltaico
Fonte:Foto di torstensimon da Pixabay
CO2 e PNIEC, le critiche di Greenpeace
A condurre lo studio, per conto di Greenpeace Italia, l’Institute for Sustainable Future di Sydney (ISF). Ha concluso Iacoboni:

In questo nostro studio ci sono numeri chiari. Dimostrano innanzitutto che il PNIEC del governo non è nell’interesse dei cittadini italiani, ma risponde piuttosto alle richieste delle lobby di gas e petrolio. Occorre subito una rivisitazione degli obiettivi su clima e rinnovabili.

Una rivoluzione che coniugherebbe la tutela del clima e del Pianeta, con vantaggi economici e per la competitività e la modernità del Paese. L’emergenza climatica in corso sta interessando pesantemente anche il nostro Paese, con danni a persone, ambiente ed economia. Non è più possibile rinviare la rapida transizione verso un Paese 100 per cento rinnovabile.

 

fonte:greenstyle.it

Cambiamento climatico, solo sei mesi per invertire la rotta: lo dice l’IEA

Potrebbero rimanere solo sei mesi per invertire la rotta del cambiamento climatico. È quanto sostiene Fatih Birol, direttore esecutivo dell’International Energy Agency, nell’analizzare il ritmo delle emissioni nocive in questa prima fase di sblocco dei lockdown da coronavirus.

La questione è molto complessa e, come già accennato, relativa alla diffusione del nuovo coronavirus. Nei mesi più duri della quarantena si è infatti assistito a un miglioramento globale sul fronte dell’inquinamento: le persone a casa, e il traffico ridottissimo, hanno abbattuto i livelli di CO2 in atmosfera. Superati questi mesi davvero promettenti, con bassi livelli di inquinanti così come non se ne rilevavano dai primi anni ’90, potrebbe però verificarsi un paradosso.

I rischi del post-lockdown

La necessità di riavviare il prima possibile la produzione, e salvare l’economia globale, sta spingendo diversi governi ad allentare norme e limitazioni proprio sulle emissioni. Senza un’analisi profonda sul fronte ambientale, si rischia però di mandare in fumo i successi raggiunti faticosamente negli ultimi anni, accelerando i cambiamenti climatici.

Le politiche che i vari Paesi adotteranno nei prossimi sei mesi avranno effetti per i successivi tre anni. Con una spesa globale di 9 trilioni di dollari per risollevare l’economia, il rischio di una deregulation ambientale della produzione è molto elevato. Eppure, se si vogliono mantenere gli impegni degli accordi internazionali – come quello di Parigi – per evitare un aumento della temperatura globale oltre i 2 gradi, è necessario investire sulla riduzione costante e continua dei gas serra. Così ha spiegato Birol al Guardian:

I prossimi tre anni determineranno il corso dei prossimi 30 anni e oltre. Se non facciamo qualcosa vedremo sicuramente un rimbalzo nelle emissioni. Se le emissioni aumentano, è davvero difficile pensare di poterle ridurre in futuro. Per questa ragione chiediamo ai governi di pensare a piani sostenibili per il rilancio dell’economia.

Sul fronte dell’anidride carbonica, ad aprile si è registrato un calo del 17% a livello globale rispetto al 2019, proprio relativo al lockdown da coronavirus. Ma già a maggio questa quota ha superato del 5% i livelli dello scorso anno, per effetto della fine della quarantena. Proprio per questo, i prossimi sei mesi saranno critici per invertire la rotta dei cambiamenti climatici.

FonteGuardian

Green Jobs: +13% in Europa nell’ultimo anno

L’Italia è tra i Paesi con maggiore vocazione verso i Green Jobs. Secondo LinkedIn una città italiana è entrata nella Top 10 delle località con la più alta concentrazione di professionisti nell’ambito della sostenibilità. Si tratta di Milano, settima in classifica dopo Londra e prima della neozelandese Auckland.

Più in generale è l’Europa a vantare diversi piazzamenti in classifica, nonché il primo posto di Stoccolma. Nel Vecchio Continente l’ultimo anno ha portato un aumento dei Green Jobs del 13%, un incremento rispetto alla media mondiale pari al 7,5%. Secondo LinkedIn tali numeri rispecchiano l’affermazione della lotta ai cambiamenti climatici come tema prioritario per le imprese.

Per le imprese, ma anche per gli stessi lavoratori. Nello stesso periodo la domanda di lavori nell’ambito della sostenibilità è aumentata del 49%. Anche prima dell’arrivo della pandemia di Covid-19, sottolinea LinkedIn.

L’analisi è stata condotta valutando il numero di annunci di lavoro presenti sulla piattaforma e quello dei professionisti che hanno inserito nel profilo lavorativo riferimenti alla sostenibilità. Queste le 10 città in cui si è verificata la più alta concentrazione di professionisti della Green Economy:

Stoccolma (Svezia);
Helsinki (Finlandia);
Amsterdam (Paesi Bassi);
Zurigo (Svizzera);
Vancouver (Canada);
Londra (Regno Unito);
Milano (Italia);
Auckland (Nuova Zelanda);
Melbourne (Australia);
Washington (Stati Uniti).
Green Economy: investiti 124 miliardi di euro nel 2019
Mariano Mamertino, Senior Economist di LinkedIn:

Guardando al futuro, una delle poche conseguenze positive legate all’attuale crisi sanitaria è da riscontrarsi nel settore della sostenibilità. La crisi ha contribuito a ridurre l’inquinamento, e ciò potrebbe dare una certa carica a iniziative relative alla sostenibilità ambientale, che erano necessarie da tempo. Da questo punto di vista, le amministrazioni locali di città come Milano, Manchester o Liverpool hanno già annunciato dei piani volti a ripensare le modalità con le quali queste città possono essere più rispettose dell’ambiente.

 

fonte: greenstyle.it

Plastica negli oceani, intatta dopo 20 anni

La plastica rimane intatta dopo 20 anni di immersione negli oceani. È quanto rivela una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Scientific Reports, condotta dall’istituto tedesco GEOMAR. È noto che la plastica abbia bisogno di diversi secoli per potersi degradare, ma questo nuovo studio potrebbe addirittura estendere le tempistiche fino a oggi previste.

Tartaruga uccisa dalla plastica alla foce del Sarno
I ricercatori hanno recuperato dei campioni di plastica, rinvenuti a 4.150 metri di profondità nell’Oceano Pacifico. Non solo questi rifiuti risultavano del tutto intatti, ma la loro superficie aveva stimolato un’insolita proliferazione microbica.

Sebbene la plastica richieda diversi secoli per la sua degradazione, gli esperti si sarebbero attesi un’iniziale processo di decomposizione. Invece, i rifiuti risultavano completamente intatti, come se fossero stati prodotti da poco.

Per datare i campioni raccolti nell’oceano, i ricercatori hanno analizzato i brand riportati sulla confezione e i loro codici a barre. In particolare, due confezioni prodotte nel 1988 e nel 1996 non mostravano alcun segno di degradazione. Ad attirare l’attenzione anche una lattina di Coca-Cola, sigillata in un sacchetto di plastica. Il contatto tra l’alluminio e l’acqua salata avrebbe portato a una naturale decomposizione nel corso degli anni, ma la busta ha evitato questo processo, mantenendo integro il contenitore della bevanda.

Non è però tutto poiché, come già accennato, i rifiuti di plastica abbandonati in mare stimolano una moltiplicazione microbica anomala. Batteri e microbi rinvenuti su confezioni e buste sono infatti molto diversi rispetto alla varietà che si possono trovare sui fondali, un fatto che potrebbe alterare l’equilibrio degli stessi mari.

Oggi il 60% dei rifiuti presenti negli oceani è rappresentato proprio dalla plastica. I ricercatori del GEOMAR cercheranno di capire non solo gli effetti in termini di equilibrio microbico dei fondali, ma anche le origini di questi rifiuti. Poiché rinvenuti nelle profondità dell’Oceano Pacifico, lontano dalle coste, sarà interessare capire quali siano le correnti marine responsabili di questo trasporto.

Fonte: Science Alert

Boschi E.ON ed Energy4Blue: i green influencer comunicano la sostenibilità

Comunicare la sostenibilità ambientale a colpi di like e stories su Instagram. Una sfida sempre più importante per le aziende e per gli influencer, attori del cambiamento green della nostra società grazie ai social. In questa prospettiva vanno viste due campagne lanciate da E.ON, colosso energetico che ha da sempre una grande attenzione verso l’ambiente e lo dimostra con due attività ad alto tasso di engagement: Boschi E.ON ed Energy4Blue.

Ma quali sono gli obiettivi di questi due progetti? Boschi E.ON viene descritto così dalla multinazionale energetica:

Il progetto Boschi E.ON rappresenta un esempio concreto di come E.ON promuove la sensibilità e la responsabilità ambientale, coerentemente con la strategia ambientale del Gruppo, coinvolgendo i propri clienti in prima persona: infatti per ogni sottoscrizione dell’offerta E.ON GasVerde Più, è prevista la piantumazione di un albero in una della aree selezionate dal progetto.

Mentre Energy4Blue è :

un nuovo progetto per la tutela del mare che riflette il posizionamento #odiamoglisprechi adottato dall’azienda. L’iniziativa, concepita come progetto a vasto raggio e di lunga durata, vuole dare una prima risposta concreta all’emergenza dei nostri mari, partendo dalle spiagge e dai fondali marini per difenderli dall’inquinamento causato dalla plastica e coinvolgendo i clienti e i dipendenti dell’azienda.

Nell’ambito di Energy4Blue, inoltre, in occasione della Giornata Mondiale degli Oceani, è stata liberata la tartaruga marina “Blue”, curata presso il Centro Recupero di Manfredonia di Legambiente grazie al sostegno di E.ON e dei clienti che hanno aderito al progetto.

Per comunicare al meglio queste due iniziative E.ON ha lavorato insieme a Triboo e al dipartimento di Influencer Marketing “T-Talent“, nato all’interno della digital trasformation factory milanese guidata da Giulio Corno, per coinvolgere personaggi influenti del web e dei social per amplificare l’interazione degli utenti.

Gli influencer coinvolti su Boschi E.ON, dopo aver acquistato una delle piantine proposte per l’iniziativa, l’hanno piantata e coltivata in casa propria, mostrando il procedimento nelle proprie stories. I green influencer hanno preso spunto da questa attività per comunicare ai loro follower la partnership con il brand, oltre che per raccontare del bosco E.ON che cresce ogni giorno grazie agli alberi piantati per ogni nuovo cliente acquisito.

Boschi EON

Come per il progetto E.ON Boschi, su ENERGY4BLUE sono stati selezionati degli influencer con un profondo rapporto con il territorio i quali, attraverso un format composto da Instagram stories, hanno raccontato alla propria fanbase l’iniziativa. L’elemento caratteristico dell’attività è stata la presenza di GIF animate, sticker e filtri Instagram personalizzati per promuovere l’iniziativa.

ENERGY4BLUE

Il successo di entrambe le campagne è stato ampio: per Boschi E.ON la reach complessiva è stata di quasi 80.000 utenti con un engagement rate dell’1,60%, e ancor meglio ha fatto ENERGY4BLUE con una reach complessiva, tra post e stories, di più di 250 mila utenti con un engagement rate del 2,2%.

Una testimonianza ulteriore di come i social network e i green influencer possano essere di grande importanza non solo per le strategie delle aziende, ma anche per il futuro del nostro Pianeta.

 

fonte:greenstyle.it

Il Teatro dell’Opera di Barcellona riapre: fra il pubblico solo piante

Il palco si apre, il Teatro dell’Opera di Barcellona ha un nuovo pubblico: nessun distanziamento sociale, solo la voglia di ripartire. In platea, negli spalti, un gruppo di piante, provenienti da tutti i vivai della città.

L’idea è coordinata dall’artista concettuale Eugenio Ampudia e il Quartetto d’archi UceLi si esibirà in Crisantemi di Puccini. 2292 piante per ripartire dopo l’emergenza Covid, 2000 esemplari che verranno poi consegnati ad altrettanti medici e operatori sanitari, in particolare dell’Ospedale Clinic di Barcellona, come ringraziamento per l’impegno profuso in questi mesi, accompagnati da un certificato dell’artista. Le immagini e il video della performance del “concerto bioceno” faranno ora parte della collezione di arte contemporanea di “la Caixa”.

A spiegare il senso dell’iniziativa il direttore artistico Víctor Garcia de Gomar:

“Con questa iniziativa il Liceu solleva molte domande sull’assurda situazione in cui si è trovata l’umanità durante questo isolamento: un pubblico privato della possibilità di essere pubblico”.

Concierto para el bioceno

Podeu recuperar la retransmissió del 'Concert pel biocè' que l'artista Eugenio Ampudia va crear per al Liceu, amb la participació del quartet de corda UceLi Quartet interpretant 'Crisantemi' de Puccini per a 2.292 plantes. Properament estarà disponible la peça de vídeo-art signada pel propi Ampudia._Podéis recuperar la retransmisión del 'Concerto para el bioceno' que el artista Eugenio Ampudia creó para el Liceu, con la partipación del cuarteto de cuerda UceLi QUartet interpretando 'Crisantemi' de Puccini para 2.292 plantas. Próximamente estará disponible la pieza de video-arte firmada por el propio Ampudia.

Pubblicato da Gran Teatre del Liceu su Martedì 23 giugno 2020

Biodiversità, CO2 ha trasformato l’Antartide 18mila anni fa

La biodiversità dell’Antartide ha subito una profonda trasformazione a causa della CO2. È accaduto circa 18mila anni fa secondo un gruppo internazionale di scienziati, il cui studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Geoscience. A condurre la ricerca gli studiosi dell’Institute for Geosciences – University of Bonn (Germania), della Keele University (UK) e della University of New South Wales (Australia).

Più o meno 18mila anni fa la Terra usciva dall’ultima Era Glaciale. Le temperature si rialzavano, così come i livelli di CO2, tanto da modificare in maniera netta la biodiversità dell’Antartide. Qui l’ambiente dà vita a un intenso scambio di anidride carbonica tra il ghiaccio marino e l’Oceano Antartico, che influenza il patrimonio naturalistico di quest’ultimo.

Secondo quanto hanno riferito gli studiosi i livelli di CO2 sono cresciuti da 190 a 280 ppm nei 7000 anni successivi alla fine dell’Era Glaciale. Un andamento non regolare però, ma contraddistinto da fasi di sostanziale immobilismo. Circa 14.600 anni fa un periodo di stasi prolungata ha visto l’anidride carbonica rimanere su valori prossimi ai 240 ppm per 1.900 anni. Un periodo definito “Antarctic Cold Reversal” (Inversione del freddo antartico). Michael Weber, tra gli autori dello studio, Institute for Geosciences – University of Bonn:

Abbiamo trovato nei sedimenti profondi situati nella zona di ghiaccio marino dell’Oceano Antartico una produttività incrementata durante questo periodo critico, mentre si era ridotta nella parte più a nord, al di fuori della zona ghiacciata. Era in questo momento importante comprendere come i registri climatici dell’Antartide descrivessero questo periodo critico.

Biodiversità Antartide Patriot Hills Blue Ice Area
Fonte:Alexrk2 / Wikipedia

Biodiversità e lotta ai cambiamenti climatici

I dati sono stati raccolti, attraverso la tecnica del carotaggio del ghiaccio, nella zona denominata “Patriot Hills Blue Ice Area“. Lo studio di quest’area potrebbe fornire importanti informazioni per salvaguardare la biodiversità e sostenere la lotta ai cambiamenti climatici in atto. A sostenerlo Chris Fogwill, autore principale dello studio e ricercatore alla Keele University:

Questo lungo periodo di stasi nei livelli di CO2 in atmosfera potrebbe essere fondamentale per comprendere il potenziale dell’Oceano antartico nel moderare la CO2 in atmosfera. Mentre le recenti riduzioni delle emissioni indotte dall’emergenza Covid-19 hanno mostrato che possiamo ridurre la CO2, dobbiamo capire in che modo i livelli di CO2 possono essere stabilizzati da processi naturali. Dal momento che questi processi potrebbero essere la chiave per uno sviluppo responsabile di approcci geoingegneristici e rimangono fondamentali per mantenere il nostro impegno nei confronti degli Accordi di Parigi.

FonteScience Daily