L’inquinamento atmosferico è legato direttamente al tasso di mortalità prematura. Questo secondo quanto hanno affermato i ricercatori della Harvard University’s T.H. Chan School of Public Health. Gli studiosi statunitensi affermano di aver collegato in maniera evidente morti premature e concentrazioni di particolato fine (PM2.5) nell’aria.
I ricercatori hanno analizzato i dati, relativi agli ultimi 16 anni, di 68,5 milioni di iscritti a Medicare. Di questi circa il 97% risultano statunitensi di età superiore ai 65 anni. Lo studio ha confrontato i dati sui livelli di inquinamento atmosferico con quelli di residenza dei partecipanti. Allo scopo di ottenere una stima verosimile dei livelli giornalieri di PM2.5 gli studiosi si sono avvalsi anche di dati satellitari e hanno analizzato variabili meteorologiche e altri fattori.
Coronavirus: inquinamento atmosferico aumenta il tasso di mortalità
Nel definire l’incidenza del particolato sottile sul tasso di mortalità sono stati considerati anche eventuali fattori di rischio. Tra questi età, vizio del fumo, etnia, indice di massa corporea e livello di educazione. In base alle stime soltanto negli USA potrebbero essere salvate 143.257 vite (6-7% delle morti) all’anno rispettando il limite di 10 microgrammi per metro cubo stabilito dall’OMS. Come ha dichiarato Xiao Wu, dottorando Harvard e co-autore dello studio:
Il nostro studio ha incluso il più grande corpo dati riguardante gli anziani statunitensi e utilizzato metodi multipli di analisi, inclusi metodi statistici per inferenza causale, per mostrare che gli attuali standard USA sulle concentrazioni di PM2.5 non sono sufficienti a proteggere i cittadini e i limiti dovrebbero essere abbassati per assicurare la tutela delle popolazioni più vulnerabili come ad esempio gli anziani.
Fonte: Science Advances